ROMA – Corea del Nord, Arabia Saudita e Cina. Ma anche Cuba, Tunisia e, per la prima volta, Egitto. Sono i Paesi “nemici di Internet”, che insieme a Bielorussia, Birmania, Iran, Siria, Turkmenistan, Uzbekistan e Vietnam fanno parte di una speciale classifica stilata dall’associazione Reporters Senza Frontiere. Paesi in cui ci si può trovare in prigione da un giorno all’altro per aver scritto sul proprio blog o su un sito internet opinioni contrarie al regime. Secondo le ultime stime, nel mondo oltre sessanta cyber-dissidenti (52 solo in Cina, quattro in Vietnam, tre in Siria, e uno in Iran) sono tuttora in carcere per aver fatto circolare online opinioni considerate inaccettabili dai governi locali. Così, per attirare l’attenzione nei confronti di un problema sempre più grande, l’associazione ha indetto una protesta online di ventiquattrore.
I Paesi. Molti dei Paesi inseriti all’interno della “lista nera”, come Cina e Birmania, sono regolarmente sotto i riflettori dell’opinione pubblica perché negano ai propri cittadini la libertà di espressione. A Cuba, ad esempio, il governo vieta ai dissidenti e ai giornalisti indipendenti di poter utilizzare la rete, e la punizione per aver scritto un articolo per un sito web straniero può arrivare anche a un anno di carcere. L’Egitto, invece, è una new entry, ed è stata inserita – spiegano da Reporters Senza Frontiere – per il suo comportamento nei confronti dei diari online: “Tre bloggers sono stati arrestati quest’anno per essersi schierati a favore di riforme democratiche. Quello che facciamo è anche un appello al governo egiziano, affinché cambi le proprie leggi in materia”. Il Cairo, infatti, ha emanato recentemente una norma secondo la quale un sito può essere chiuso immediatamente se considerato un rischio per la sicurezza nazionale.
Dalla classifica emerge anche qualche buona notizia. Nepal, Libia e Maldive, che comparivano fino allo scorso anno, sono stati rimossi. “Il fatto che abbiamo potuto rimuovere tre Paesi dalla lista è sicuramente positivo, e ci dà la forza di sperare che la situazione possa migliorare di anno in anno”. La Libia, in particolare, si trova però ancora sotto osservazione: in una recente visita di Reporters Senza Frontiere è emerso che la rete non è più esposta alla censura, anche se il presidente Maummar Gheddafi è ancora considerato un “predatore della libertà di stampa”.
La protesta. La lista viene diffusa ogni anno, ma questa è la prima volta che Reporters Senza Frontiere organizza anche una grande mobilitazione su internet: “Quest’anno – ha spiegato un portavoce dell’associazione – abbiamo voluto coinvolgere anche gli utenti della rete, in modo tale che quando facciamo pressione sui Paesi che non rispettano la libertà di espressione, possiamo dire di parlare a nome non solo nostro di addetti ai lavori, ma anche di migliaia di utenti di tutto il mondo”. Per tutta la giornata di oggi sul sito Rsf. org sarà possibile votare su una cartina il paese che più offende la libertà di espressione. Fino ad ora sono arrivati più di diecimila voti.
Non è tutto, perché la protesta riguarda anche il comportamento del co-fondatore di Yahoo!, Jerry Yang, accusato di collaborazionismo con il governo cinese per aver bloccato l’accesso ad alcune pagine web. La società californiana, infatti, è stata tra le prime al mondo a sottostare al volere di Pechino autocensurando il proprio motore di ricerca locale e lavorando insieme alle autorità cinesi nella lotta al perseguimento del dissenso politico online. Yahoo!, dal canto suo, si difende affermando di aver solo “rispettato la normativa locale”. Anche Microsoft e Google si trovano in una posizione simile.
La mobilitazione non è però solo virtuale: a New York cartelloni mobili con una grande mappa del mondo girano per la città , da Times Square a Bryant Park, visualizzando i “buchi neri” della libertà di espressione online. A Parigi le stesse mappe sono invece proiettate sulle facciate di alcuni monumenti e palazzi significativi, tra cui la stazione Saint-Lazare, la sede parigina di Yahoo! e il palazzo dell’Opera. Da oggi, infine, tutti i comunicati stampa di Reporters Senza Frontiere saranno tradotti, oltre che in francese, inglese e spagnolo, anche in arabo, in modo tale da essere diffusi a una più ampia fetta della popolazione. “La libertà di espressione – si legge nei manifesti – non è un lusso, ma un diritto di tutti”.
fonte: repubblica.it